AOSTA, Centro Saint Bénin
Carlo Carrà: il realismo lirico degli anni Venti
22 Giugno - 3 Novembre 2002

L’Attesa, 1926
Olio su tela, 95 x 100 cm
Collezione privata

“...La semplificazione degli elementi compositivi elimina l’aspetto aneddotico dell’immagine, bloccandola in un’immobilità misteriosa.
L’attesa non è tanto quella della donna o del cane, ma il senso di straniata aspettativa che l’opera suscita nello spettatore.”

(Citazione dal catalogo della mostra
“Carlo Carrà” edito da Mazzotta)

Il titolo di questa bellissima esposizione potrebbe trarre in inganno. In effetti, la selezione operata dai curatori, Massimo Carrà, Elena Pontiggia e Alberto Fiz, propone un ampio excursus che va dai primi dipinti cubisti, futuristi e metafisici, sino alle ultime sperimentazioni primitiviste. Tra le circa 60 opere, dipinti e disegni provenienti da collezioni pubbliche e private italiane e internazionali, il nucleo principale è costituito dalla produzione “post-metafisica” degli anni Venti; un periodo fondamentale, per l’evoluzione artistica di Carlo Carrà (Quargnento, Alessandria, 1881 - Milano 1966).

In quell’epoca segnata da rivolgimenti sociali egli si staccò definitivamente dalle esperienze di gruppo per iniziare una ricerca autonoma e solitaria, interrotta solo dalla saltuaria collaborazione con riviste di critica ed estetica come «Lacerba», «La Voce», «Esprit Nouveau», «Fiera Letteraria», e più regolarmente con il periodico «Valori Plastici» e con il quotidiano milanese «L’Ambrosiano».

Rifiutando la retorica rumorosa di molti suoi contemporanei, Carrà andò sperimentando una “poesia delle cose ordinarie”, cioè il senso interiore di quelle immagini che, sono parole sue, “operano sul nostro animo in quella guisa così benefica che raggiunge le estreme vette della grazia”. Partendo da questi presupposti, Carrà si dedicò soprattutto al paesaggio, ed è qui che la sua arte raggiunse l’apice del lirismo, in virtù di un processo che non è puramente pittorico. Le tele, appena abbozzate all’aperto, nello studio subivano una serie di trasformazioni mediante l’inserimento di semplici elementi simbolici: animali, alberi, oggetti. Carrà lasciava riposare il dipinti per settimane o mesi, prima di ritornarvi sopra ed effettuare nuovi inserimenti e nuove velature di colore che finivano per dare al dipinto un significato nuovo e inaspettato. “Quasi tutti i miei dipinti – diceva – nascono da un lavoro interiore oscuro e lento; in genere la trovata risolutiva non mi viene che dopo lunghe ricerche, e magari dopo anni”.

Insomma la pittura, per Carrà, non era un semplice mezzo per rappresentare la realtà, ma costituiva un momento catartico, avendo il compito preciso di cogliere sia gli aspetti qualificanti del reale, sia la loro intima essenza che, tramite un filo invisibile, collega qualunque realtà esteriore alla propria realtà interiore fatta di ricordi, emozioni, sentimenti. In questo modo il pittore si immedesima nell’opera, purifica l’immagine dai suoi contenuti puramente formali: ne corregge gli spazi, manipola i colori, plasma l’estetica per darle nuovi contenuti, proiezioni del proprio essere che anche l’osservatore può riconoscere, restando distaccato e partecipe al tempo stesso.

I curatori della mostra organizzata al Centro Saint Bénin di Aosta (Via Festaz 27, tel. 0165.272687) hanno tenuto ben presente questa filosofia che sta alla base della pittura di Carrà e ne hanno tratto spunto per creare un percorso visivo altamente poetico, capace di restituire il profondo senso lirico di uno dei più grandi pittori italiani del Novecento.

Giordano Berti


 


 

  webmastering by Anna Manfredini e Daniele Perillo